Amici della Musica di Cagliari


Concorso Internazionale di pianoforte Ennio Porrino
Stagione concertistica



Petri Kuljuntausta


Sulla musica acusmatica, acustica e sulle interpretazioni della musica digitale

Come compositore quando lavoro nel mio studio il mio obiettivo è quello di creare composizioni dove il materiale sonoro sia organizzato in modo preciso. Nello studio una composizione si chiude e tutto è ben bilanciato. Ma in un secondo livello quando vado a eseguire una composizione mi accorgo che il prodotto dello studio è solo una possibile versione di quell’opera. Come performer live i miei comportamenti cambiano e cerco di trovare nuovi lati (interpretativi) nelle mie composizioni. Sono anche interessato a continuare il processo creativo nella situazione del concerto. Anche se la musica è composta per supporti digitali immodificabili e si propone per essere eseguita in modo lineare (dal punto di inizio alla fine) io faccio talvolta qualcosa di inatteso durante la performance. Mi sento aperto verso le nuove possibilità, e per quanto riguarda la struttura delle mie composizioni sono interessato a realizzare interpretazioni delle mie opere che siano creative anche attraverso delle variazioni.

Ho iniziato a lavorare con questa strategia nel 1990 quando ho fatto un concerto con un mio collega. Suonavamo le mie composizioni acusmatiche e facevamo un leggero lavoro di colorizzazione di queste composizioni. All’inizio il mio amico usava un sintetizzatore e io avevo una collezione di suoni concreti e anche dei frammenti delle mie composizioni. Io mi prendevo cura di come le composizioni passassero attraverso il sistema di amplificazione e quando ci sembrava opportuno aggiungevamo qui e là altri suoni. In seguito ho comprato processori di suoni in tempo reale e ho cominciato a manipolare e riciclare in teme po reale durante il concerto i suoni delle composizioni. Creavo alcuni nuovi colori e nuovi strati che aggiungevo durante la performance, tutti i materiali erano sempre presi dalla composizione stessa. Non voglio dire che questo fosse del live-electronic, perché per me queste composizioni erano ancora fondamentalmente composizioni acusmatiche ma in questo caso venivano eseguite su un palco con alcuni elementi opzionali eseguiti dal vivo.
Al giorno d’oggi i processori e gli strumenti che abbiamo a disposizione mi offrono le possibilità di cui ho bisogno come performer. Sono interessato a prendere decisioni in tempo reale, a riordinare le particelle pre-composte in una nuova maniera all’interno del contesto della composizione. Io posso manipolare la mia composizione in modo molto leggero, quasi inavvertibile, oppure posso decidere di fare dei gesti più drammatici. Posso campionare in tempo reale la composizione e immediatamente suonare il materiale manipolato con loop, frammentazioni, distorsioni, trasposizioni, letture al contrario. Posso aggiungere degli echi in un punto e dei suoni concreti in un altro e così via...

Talvolta quando arrivo a creare qualcosa di molto interessante nei processi in tempo reale posso decidere di fare una dissolvenza dalla composizione originale e restare più a lungo nella nuova texture.


Che dire a proposito delle "regole" della composizione, dobbiamo seguirle strettamente o piutmain dovremmo fidarci delle nostre orecchie?
Lasciatemi citare un esempio storico. Una volta un mio amico mi ha raccontato una storia a proposito di come Karlheinz Stockhausen interpretava la sua musica. Gottfried Michael Koenig ha lavorato per molti anni nello studio elettronico del West Deutsche Rundfunke come assistente di diversi compositori tra cui Stockhausen. Koenig ha detto al mio amico che anche nelle sue composizioni più rigorose del primo periodo (Studies, Gesang der Jünglinge e Kontakte) Stockhausen non restava mai strettamente fedele al testo quando suonava queste composizioni. Non seguiva le indicazioni segnate sulla partitura e invece seguiva le sue orecchie e si prendeva una libertà creativa al momento del concerto. Si lasciava sempre uno spazio per poter interpretare.
L’industria musicale ha creato dei nuovi strumenti per la performance live dei Dj e degli artisti di techno e questi sono strumenti meravigliosi anche per i musicisti acusmatici. Il fatto è che le composizioni elettroniche stanno diventando sempre più plastiche in questi anni. La composizione può ancora essere acusmatica ma le particelle non sono messe insieme in modo tradizionale. Tutte queste particelle possono stare nel disco rigido del computer e da lì possiamo prendere degli elementi in tempo reale e possiamo fare tutte le manipolazioni e gli arrangiamenti necessari in tempo reale durante la performance. Questo tipo di composizione è simile a un puzzle . Il pezzo ha la sua identità precomposta e il performer conosce tutti i pezzi del puzzle ma può prendere in tempo reale nel momento nel quale interpreta il pezzo le decisioni definitive. È ancora musica acusmatica, musica composta ma la differenza sta nel fatto che questo tipo di composizione non è un oggetto stabile è più simile ad un oggetto "liquido".


A partire dai primi anni ‘90 ho creato diverse composizioni elettroniche per opere d’arte legate ai media (video sperimentali e installazione multimediali in gallere ie d’arte) prima di scrivere queste composizioni ho studiato e analizzato il modo nel quale gli elementi visivi aggiungono un elemento addizionale che può dare alla composizione musicale una dimensione inaspettata. Sono molto interessato a queste possibilità. Ho iniziato a collaborare con artisti legati al video e al mondo dei media e sono soddisfatto di quello che accadeva al mio lavoro in ambito visuale. Ma per scopi di puro ascolto, per utilizzarli durante i concerti, ho creato delle versioni acusmatiche di queste composizioni originarimente concepite per stare insieme ad altri media. Quando ascoltate queste composizioni in concerto, senza altri stimoli, il punto di partenza è nascosto e liberato da legami e tracce con il visivo. Potete concentrarvi solo sul suono e sull’evoluzione drammatica dell’opera, e la mente è più aperta per fare delle interpretazioni.

Nel 1995 ho composto Lux in tenebris, la composizione fu eseguita per la prima volta in una galleria d’arte, senza relazioni con altre opere che stavano nella stessa stanza. Ma alla fine la scelta di fare delle connessioni dipende dall’ascoltatore. L’ascoltatore può decidere di chiudere gli occhi e concentrarsi solo sull’ascolto della musica, o scegliere di guardare l’opera visiva mentre ascolta il pezzo. Così la stessa composizione può trovarsi in un ruolo molto diverso in una galleria e in un concerto.


Ho suonato in molti posti diversi e abbastanza spesso anche in club di techno. In questo contesto ho voluto usare le attrezzature che i club mi possono offrire. Di solito suono dove sono montati i banchi dei Dj, quindi sul palco o alle spalle del pubblico. Talvolta uso nelle mie performance qualche elemento ee xtra-musicale: luci o fumo (con la macchina del fumo). Quasi sempre lascio completa libertà alla persona che si occupa delle luci, di interpretare e supportare la mia musica con questi elementi non-musicali. Alle prove io suono le mie composizioni e durante questo tempo chi si occupa delle luci può programmare gli apparechi che gestiscono l’automazione delle luci, può programmare i ritmi, i colori e i cambi di luce che avverranno durante la performance.

Tutte le sale da concerto sono diverse. È sempre bello poter suonare in posti dove esiste un buon sistema per la diffusione del suono ma purtroppo la qualità hi-fi non la si raggiunge sempre. Abbastanza spesso musei e gallerei organizzano dei concerti di musica elettronica e questa è in generale una buona cosa. Di solito però questi sono luoghi pensati per le arti visive e in questo tipo di spazio il suono può risultare molto difficile da gestire, alcune frequenze possono essere sorprendentemente spiacevoli. Non è importante quanto sia buona la qualità del sistema di diffusione se lo spazio non è adatto per fare un concerto.

L’acustica del luogo può diventare un problema serio ma la mia filosofia è che è meglio suonare che non suonare. Cerco quindi di fare il possibile anche se lo spazio non è soddisfacente dal punto di vista acustico. La questione principale è come eliminare le frequenze negative.
È però sempre utile ricordarsi i due diversi aspetti della composizione musicale:
1) il livello astratto, il mondo ideale dell’opera (interno alla composizione)
2) il livello concreto (la vita reale), la situazione di performance (il mondo esterno alla composizione).

Nel 2003 ho aiutato Phil Niblock in un suo concerto. Prima della prova ero abbastanza nervoso perché lui è abbastanza conosciuto per la sua esigenza nei confronti della qualità del suono. Ma è stato bello vedere come fosse invece simpatico e rilassato e non ho ascoltato reclami legati all’acustica della sala, o al sistema affittato di amplificazione o in merito all’attrezzatura video che ha smesso di funzionare durante le prove (e alla fine ho prestato io il mio videoregistratore personale). Tre ore di concerto sono andate bene, il pubblico era felice e anche l’artista... Se la musica è buona, sale imperfette dal punto di vista acustico e piccoli altri difetti non la possono distruggere.


Ho fatto alcuni concerti dove ho suonato musica a un volume estremamente basso. In questi concerti il pubblico stava molto calmo e si concentrava sull’ascolto più profondamente per riuscire a sentire i vari dettagli della musica. Questo tipo di situazione può essere noioso per alcuni ma di solito le relazioni alla fine del concerto erano positive. In altri concerti ho suonato musica a volume molto forte. Tutto dipende dal contesto, e da quello che devo suonare.
Come nella vita reale c’è spazio per suoni delicati ma anche per suoni forti.

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