Amici della Musica di Cagliari


Concorso Internazionale di pianoforte Ennio Porrino
Stagione concertistica



1° Festival di Percussioni

23 agosto 2005
Cagliari, Lazzaretto S. Elia, h 21



Yoshihisa Taira
Convergence 1 (1975)
marimba: Roberto Pellegrini

Lucio Garau
Principe (1995)
vibrafono e glockenspiel: Francesco Ciminiello

Keiko Abe
Wind in the Bamboo Grove (1987)
marimba: Valerio Cugia

Francesco Donatoni
Omar (1985)
vibrafono: Andrea Bini

Minoru Miki
Time for Marimba (1968)
marimba: Roberto Migoni

David Lang
Alvin Chorus (1991)
percussioni: Luca Piana


 
Convergence I
di Yoshihisa Taira

“Attorno a me, fluttua un’infinità di suoni... Il loro respiro genera dei movimenti spontanei che s’influenzano reciprocamente e che vengono ad opporsi al silenzio che, anche lui, bisogna riconoscerlo, è dotato d’un soffio di vita. Si crea così, per qualche istante, una certa atmosfera, un certo universo che la mia musica tenta di captare e di rendere comunicabile. Mi piacerebbe essere un musicista che può sentire il silenzio vivente. Lungi dall’essere una parola astratta adatta all’elucubrazione di teorie incerte che danno luogo a vane spiegazioni, la musica mi pare debba essere un verbo vivente, concreto” ( Y. Taira)

“Convergence I, pour Marimba seul”, dedicato alla grande marimbista Keiko Abe, è il primo di una serie di pezzi, che portano tutti lo stesso nome, nei quali Taira si propone di rappresentare la sintesi tra lo strumento e l’interprete in un’unica entità vivente.

A mio avviso gli elementi caratterizzanti di “Convergence” sono questi:
una concezione estrema dei percorsi melodici, basata su un’escursione intervallare vertiginosa e spesso rapidissima;
la presenza di una nota fondamentale (il re sotto il primo rigo in chiave di violino) verso cui converge il materiale musicale;
l’uso della voce, per dare maggiore energia alla musica;
l’uso strutturale del silenzio, sotto forma di pause di differente durata, che funge da cornice  per tutti gli eventi sonori del pezzo.

Proprio questa particolare concezione del silenzio è l’elemento più “giapponese” della composizione. Il silenzio è la scaturigine da cui ogni evento sonoro attinge la sua forza e nel quale la riversa. Questa concezione del vuoto come sorgente e approdo d’ogni energia, la ritroviamo in tutta la cultura giapponese (ad es. in certe forme di pittura, nell’arte della calligrafia, nei giardini Zen, nelle arti marziali).

È interessante notare che il raffinato vocabolario semiografico utilizzato da Taira per questo pezzo non preveda segni per indicare la durata dei suoni. L’indubbia forza cinetica di questa composizione deriva dalle proporzioni grafiche dei segni e dalle indicazioni verbali concernenti le modalità d’esecuzione e le scansioni temporali, ma non ci sono valori proporzionali di durata. Questo fa sì che gli eventi sonori siano percepiti non come scansioni ritmiche ma come flussi d’energia.
Roberto Pellegrini

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Roberto Pellegrini 
Percussionista.
Si occupa di improvvisazione e di musica contemporanea.

Ha collaborato con compositori, interpreti e improvvisatori quali Mauricio Kagel, James Wood, Michico Hirayama, Gaston Silvestre, Giancarlo Schiaffini, Lester Bowie, Furio DiCastri, Paolo Fresu, Enrico Rava, Ralph Alessi, Chris Speed, Mike Manieri.

Ha partecipato a numerosi festivals internazionali tra cui: Summer Jazz Festival (Tokyo 1992), Ferienkurse fur Neue Musik (Darmstadt 1992-94), Podewil Festival Frei Improvisierter Music (Berlino 1993), World Music Days (Stockholm 1994), 30° Deutsches Jazz Festival Frankfurt (Francoforte 1999), Tailler de Musics (Barcellona 1999), Jazz in Sardegna (Cagliari 2004).

Ha registrato per la Edipan, Il Ponte Sonoro, Il Manifesto, Digitalis Purpurea.

Vincitore del primo premio al “Deuxieme Tournoi Europeen Musique Improvvise” (Poitiers 1995) e del “IX Concorso Musicale Internazionale S. Anna Arresi 1996”.

È docente di Percussioni al Conservatorio di Cagliari.

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Principe
di Lucio Garau

Principe (1995) nasce dalla riflessione intorno ad un brano per percussioni di Morton Feldman del 1964 (The King of Denmark), e mira all’esplorazione di alcune particolarità acustiche del vibrafono e del glockenspiel. Da Feldman, oltre alle capacità d’improvvisazione richieste all’interprete, Garau deriva la particolare disposizione d’ascolto nei confronti del suono, lasciato risuonare liberamente a lungo, al fine di coglierne le più sottili riverberazioni. Ma ciò senza rinunciare ad articolare il suono entro “patterns” discorsivi netti e definiti (sorretti in modo precipuo da una chiara articolazione del parametro ritmico), né tanto meno derogare dalla necessità di una chiara articolazione formale dell’insieme (in Principe si individuano otto sezioni ben distinte).

La ritmicità globale cui spesso è informata la pratica compositiva di Garau, investe soprattutto il ruolo dell’interprete, chiamato a fornire alte prestazioni sia sotto il profilo esecutivo-interpretativo che sotto quello percettivo, improvvisativo e visivo-gestuale. “Tutta l’attenzione del pubblico deve stare sull’interprete, che come un prestigiatore fa suonare lo strumento”, scrive Garau in una nota acclusa alla partitura, quasi a sottolineare l’idea di una musica come virtuosismo del gesto, come abilità e disinvoltura nell’applicazione della tecnica.

Tutto però va ricondotto al momento centrale dell’ascolto: in alcuni punti importanti di articolazione del brano, l’esecutore deve ascoltare, mentre li provoca, i battimenti prodotti dall’urto di intervalli contigui di seconda minore presenti in alcuni accordi. Tale situazione d’ascolto, inglobata nel momento stesso dell’esecuzione, diventa stimolo per nuove modalità d’esecuzione, per nuove direzioni dell’immaginazione sonora e formale, dell’interprete e della composizione. Del resto, l’attitudine a concepire l’esperienza sonora come fatto globale, sintesi di componenti musicali ed extramusicali, in Garau è mediata dalla sua personale storia musicale e culturale, quella, da un lato, di attivo esecutore, dall’altro, di etnomusicologo, studioso delle launeddas sarde e dei fenomeni percettivi indotti dalla ripetitività dell’ascolto e dall’uso del silenzio. L’incontro con le musiche etniche e soprattutto con la tradizione minimalista (Steve Reich), perviene così ad un’inedita prospettiva didattica: suonare musica di Garau, significa anche sottoporsi ad una sorta di infaticabile training performativo, utile al potenziamento delle capacità analitiche, tecniche ed espressive degli strumentisti destinatari delle sue composizioni.

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Francesco Ciminiello
Percussionista.

Francesco Ciminiello, nato a Elmas (Cagliari) nel 1977, ha iniziato il suo apprendistato di musicista presso l’Associazione Culturale Musicale “E. Porrino” di Elmas. Ha poi proseguito i suoi studi musicali Al Conservatori “P. da Palestrina” di Cagliari dove si è diplomato col massimo dei voti sotto la guida di Pierpaolo Strinna.

Ha partecipato ai corsi di perfezionamento  di Peter Erskine, di Mike Quenn, e (in qualità di assistente) al master class di Gaston Sylvestre.

In qualità di percussionista ha collaborato con la Fondazione del Teatro Lirico di Cagliari.
Si è esibito come solista al Festival Spaziomusica del 1999 e del 2002 ottenendo un ottimo consenso di pubblico.

Grazie alla borsa di studio della Regione Autonoma della Sardegna ha frequentato il corso di perfezionamento in percussioni al Conservatoire National de Region di Rueil Malmaison a Parigi, dove ha studiato con i Maestri Gaston Silvestre e François Bedel. Qui ha ottenuto la medaglia d’oro e il “premier prix” in musica da camera.

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Wind in the bamboo grove
di Keiko Abe

 Artista e compositrice, Keiko Abe ha giocato un ruolo fondamentale nel fare della marimba uno strumento da concerto di tutto rispetto e le sue composizioni, il suo stile e il suo approccio musicale unici hanno affascinato il pubblico di tutto il mondo negli ultimi 30 anni. Grazie alla collaborazione tra Keiko Abe e “Yamaha” strumenti musicali, è stata realizzata la marimba YM6000, strumento con un’estensione di 5 ottave con il quale attualmente l’artista svolge la sua attività concertistica (la marimba che ascolterete stasera, di proprietà del Conservatorio, è proprio il mitico modello YM6000). È per questo strumento che Keiko Abe ha realizzato composizioni come “Variations on Japanese Children’s Song” o “Wind in the Bamboo Grove”. La sua raffinata scrittura ha enfatizzato le potenzialità tecnico-espressive della marimba e le sue composizioni fanno ormai parte del repertorio dei più affermati concertisti. La  musica di Keiko è una fonte d’ispirazione per tutti i musicisti poiché continua a varcare nuovi orizzonti con il suo modo di suonare.

Wind in the Bamboo Grove è una composizione che mostra l’empatia verso la natura di K. Abe, che ha descritto così l’evento che l’ha ispirata nel comporre questo pezzo: “Mentre mi trovavo nel mezzo di un boschetto di bambù, sono rimasta rapita da una ricca mescolanza di suoni. Ascoltando la foglia di bambù stormire l’una contro l’altra, nell’occasionale brezza mattutina, ho avuto l’impressione di sentire il canto del vento”.

In effetti, questo è forse il pezzo più volatile e rapsodico di K. Abe, con la sua vasta gamma di suoni e dinamiche. Segnaliamo in particolare la tecnica elaborata dalla compositrice per ricreare l’effetto dello stormire delle foglie di bambù, che consiste nel percuotere il bordo dei tasti della marimba col manico dei mazzuoli.

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Valerio Cugia
Percussionista.

Valerio Cugia nato a Cagliari nel 1978 inizia gli studi musicali a 11 anni presso il conservatorio “G.P. Da Palestrina” di Cagliari dove si diploma in strumenti a percussione con il massimo dei voti sotto la guida di Roberto Pellegrini.
Ha frequentato masterclass di timpani con Jonathan Faralli, Giuseppe Gajoni e Gaston Silvestre, di percussioni con Mike Quinn e di marimba con Evelyn Glennie.
Dal 2001 al 2003 ha seguito i corsi di musica da camera tenuti a Fiesole di Renato Rivolta affrontando il repertorio moderno e contemporaneo.

Ha suonato per importanti Istituzioni e Festival musicali tra cui “Fondazione Teatro Lirico di Cagliari”, “Aosta Classica”, “Concerti per gli Amici” di Firenze esibendosi in ambito solistico e cameristico.
Ha collaborato con l’Orchestra da camera “Accademia”, Orchestra del Conservatorio di Cagliari, Orchestra Regionale Toscana, Orchestra Sinfonica di Roma, Orchestra del Teatro Lirico di Cagliari.
Dal 2001 al 2003 ha ricoperto il ruolo di timpanista e percussionista nell’Orchestra Giovanile Italiana con la quale ha svolto un intensa attività concertistica e realizzato diverse registrazioni televisive e radiofoniche per emittenti “RAI”.
Nel 2004 ha fatto parte della Europa Philharmonie con la quale ha partecipato al SammerTour  in Francia, Germania e Italia.

Ha lavorato con prestigiosi Direttori quali Claudio Abbado, Eliahu Inbal, Gianandrea Noseda, Gabriele Ferro, Reinhard Seehafer, Francisco Rettig esibendosi in importanti Teatri tra cui il “Maggio Musicale Fiorentino” e il “Konzerthaus” di Berlino.

Nel 2005 esegue al Teatro Lirico di Cagliari il concerto per marimba di Ney Rosauro accompagnato dall’Orchestra del Conservatorio di Cagliari diretta di Sandro Sanna.

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Omar due pezzi per vibrafono
di Franco Donatoni

Omar due pezzi per vibrafono fa parte della produzione di pezzi per strumento solo, come Ali, Argot, Clair, Rima, per citarne alcuni. L’anno di composizione è il 1985, un anno importante della sua carriera di compositore, in cui Donatoni compiva 58 anni, la cui somma dei numeri da 13, il suo “numero vitale”. Le sue composizioni dedicate ad un singolo strumento fanno la gioia degli interpreti per il loro aspetto concreto, vicino, materico, creando un territorio poetico tanto evidente da essere riconosciuto fra tutti.

Omar, come le opere di quegli anni, si basa su una concezione della composizione intesa come variazione continua in cui la codificazione del materiale focalizza di volta in volta la propria attenzione su un aspetto particolare delle possibilità tecniche (accordi ascendenti  e discendenti, bicordi, scale, arpeggi, ribattuti, tremoli, legato e staccato, dampening) e organologiche (utilizzo del pedale, del motorino a varie velocità, utilizzo di vari tipi di battente) del vibrafono.

Nei due pezzi ci sono alcuni elementi che richiamano la tradizione classica, come l’uso di accordi maggiori e minori chiaramente decontestualizzati, e l’uso di una nota “fondamentale”, (si naturale) a cui si relazionano gli altri suoni.

Omar risulta all’esecuzione un pezzo virtuosistico composto quasi esclusivamente da figurazioni estremamente veloci, in cui ad un inizio molto brillante seguono continue indicazioni “il più veloce possibile”, e “precipitando” nel finale.

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Andrea Bini
Percussionista.

Andrea Bini, percussionista, diplomato al Conservatorio di Sassari, ha seguito corsi di perfezionamento tenuti da G. Sylvestre, I. Nakamura e M. Ardeleanu. Oltre all’attività orchestrale lirico – sinfonica, con cui ha inciso diversi CD su musiche di Beethoven, Verdi, Poulanc, Busoni, Massenet, Respighi etc., si occupa principalmente del repertorio contemporaneo esibendosi in prestigiosi Festival internazionali ( Ferienkursen di Darmstadt, Festival of new music di Odessa, La Biennale di Venezia, Festival internazionale di musica contemporanea dell’Aquila, Festival SpazioMusica di Cagliari, Musica Realtà di Milano). Ha eseguito opere in prima mondiale di K. Tsepkolenko, I. Baca-Lobera, Olga Neuwirth, A. Doro, O. Coluccino, G. Verdinelli, F. Oppo, Yoko Oba, R. Dapelo, e importanti prime esecuzioni italiane di Arvo Pärt, Luigi Nono, Wolfgang Rihm, Magnus Lindberg.

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Time for marimba
di Minoru Miki

Minoru Miki (1930) ha composto "Time for marimba" nell’estate del 1968, in occasione del primo recital marimbistico di Keiko Abe. Prima di quell’anno, Miki aveva avuto modo di ascoltare molte performance alla marimba, ma un buon numero dei pezzi che sentí erano arrangiamenti di composizioni strumentali occidentali. Inoltre trovava che si usasse troppo spesso il tremolo. Quando compose questo brano, quindi, evitò il tremolo, usato in una sezione limitata.

Fin dalla giovane età Miki amava le speciali sonorità delle orchestre gamelan indonesiane, formazioni di vario organico impiegate per rituali nazionali, cerimonie religiose e per il teatro, costituite principalmente da strumenti a percussione a suono determinato, come gong, carillon di gong e metallofoni a tastiera, i gender, cui Miki s’ispirò per la composizione di "Time", accompagnati da tamburi, flauti e fidule. Ci sono differenze strutturali tra il gamelan e la marimba. Per esempio, mentre la marimba ha adottato il sistema temperato, il gamelan usa altezze e scale molto particolari. Il compositore tentò comunque di creare una musica unica e fantastica con l’utilizzo di una sola marimba, e fece della commistione di idee musicali di diversa origine il punto di forza del brano.

Il pezzo si fonda su una serie di sei note (do, si, mi bemolle, sol, mi, la bemolle) che si succedono in diverse figurazioni, basate su quintine, dove questa cellula si ripete con fluidità, e sestine, che danno all’ascolto una naturale sensazione di accelerando, piú nervose e spezzate. Questo linguaggio armonico e ritmico è molto importante al fine di ricreare quell’atmosfera orientale. Un altro legame col gamelan è il carattere libero, quasi improvvisativo, di questo lavoro; si succedono situazioni diverse, dalle misteriose serie sul pianissimo di cui sopra, a sezioni piú sonore ed aggressive, con attacchi potenziati dall’uso di bacchette a due toni, morbide sulle basse dinamiche, piú dure dal forte in su. Si intrecciano piú temi, fino ad un rilassato intermezzo in tremolo, che precede il finale. Il tutto in un unico tempo di 12’ circa.

Questo pezzo ha inoltre un carattere di vera e propria esplorazione dello strumento marimba: è presente una vasta gamma di dinamiche e timbri, nonché lo sfruttamento dell’estensione massima, almeno per quell’epoca, di quattro ottave. Nelle marimbe moderne è stata aggiunta una quinta ottava nel registro grave: il compositore ha acconsentito agli esecutori di suonare note nell’ottava inferiore, ma con estrema attenzione, e senza abusare.

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Roberto Migoni
Percussionista.

Nato a Cagliari nel 1986 si avvia allo studio della batteria dall’età di cinque anni. Nel 2001 si iscrive al Conservatorio di Cagliari “G. P. da Palestrina”, dove frequenta il corso di strumenti a percussione con Roberto Pellegrini. Ha frequentato negli scorsi anni i seminari di Gaston Sylvestre e di Jonatan Faralli, ed ha collaborato con diverse associazioni bandistiche e formazioni jazz. Nell’ambito di produzioni del Conservatorio ha eseguito musiche di John Cage, Minoru Miki e Raymond Helble, e nel 2005 ha eseguito "Histoire du soldat" di Igor Stravinskij.

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Anvil Chorus
di David Lang

Anvil Chorus fu scritto nel 1991 su commissione di Steven Schick in occasione del Bang on  a Can festival di New York.
Il set di strumenti è costituito da metalli risonanti, metalli non risonanti, una cassa e due wood block. I metalli risonanti sono tre (acuto, medio, grave), quelli non risonanti sono in tutto otto (quattro dei quali suonati con i pedali) e rispettano la successione acuto, medio, medio-grave, grave.
Il brano è suddiviso in sei parti.

• La prima è composta da una lunga melodia suonata con i metalli risonanti suddivisa in diverse metriche (8/8, 7/8, 6/8) con una struttura A+A+B+A, dove B oltre ad una variazione metrica, introduce l’elemento più acuto alla melodia. Contemporaneamente alla melodia principale vengono esposti i diversi patterns ritmici-melodici che troveranno sviluppo nella seconda parte del brano.

• Ognuno di questi pattern è suonato con i metalli non risonanti e la loro successione crea una mobilità sia di intensità che di velocità grazie ad una pulsazione costante tenuta da un pattern ritmico variato anch’esso in successione regolare aumentando la distanza tra una volta e l’altra di una battuta.

• La terza parte ripropone la successione tematica A+A+B+A con un ostinato ritmico suonato con la cassa e due metalli non risonanti.

• Nella quarta parte, che ha come dicitura very slower (molto lento), è utilizzata la tecnica del tropo inserita sull’ostinato del wood block sotto il quale permane l’ostinato presentato nella parte precedente dalla cassa e dai metalli non risonanti.

• Nella quinta parte, è applicata alla linea melodica esposta all’inizio del brano una tecnica simile a quella del tropo con un tempo molto veloce.

• Il brano si conclude con la ripresa di tutti gli elementi in un continuo e graduale accelerando.

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Luca Piana
Batterista Percussionista.

Diplomato in percussioni e in musica jazz presso il Conservatorio L. Canepa di Sassari, svolge attività concertistica in diversi ambiti. Ha collaborato in qualità di orchestrale con l’Ente concerti M. De Carolis, Cooperativa teatro e/o musica, Fondazione Teatro Lirico di Cagliari, Fondazione Teatro la Fenice di Venezia, e in campo jazzistico collabora stabilmente con l’Orchestra jazz della Sardegna. Particolarmente interessato al repertorio per le percussioni, da anni si dedica allo studio del repertorio contemporaneo.

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